La Crociera Aerea del Decennale del 1933 
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Italo Balbo - La Centuria Alata

Italo Balbo - La Centuria Alata

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Articolo: Capitolo II - La preparazione

Così l'estate finisce con un bilancio molto attivo per la nostra preparazione. Rimane un punto: la decisione del Duce per l'esecuzione e la data della Crociera. Improvvisamente, poco prima che incominci con il 28 ottobre 1932 il Decennale della Rivoluzione, che sarà festeggiato in Italia con particolare solennità a conforto del lavoro fatto e come stimolo dello sforzo di ricostruzione negli anni futuri, il Duce mi chiama. Sta preparando il calendario del Regime per l'anno X. Nella grande rassegna dell'opera gigantesca compiuta dalla Rivoluzione non può mancare l'Aeronautica che il Duce ha trovato disfatta nell'ottobre del 1922 ed ha personalmente ricostruita, potenziata, messa all'avanguardia del mondo nel corso di dieci anni. Con molta semplicità mi domanda:
— A che punto sta la preparazione della tua Crociera?

Rispondo con tranquilla coscienza:
— Siamo a posto.
— Gli uomini? Le macchine?
— Pronti gli uni e le altre. In primavera gli apparecchi e i motori ci saranno sicuramente consegnati. Quanto al personale, da un anno e mezzo compie il suo allenamento ad Orbetello.
— Allora possiamo fissare la fine della primavera e l'inizio dell'estate 1933?
— Perfettamente.
— Sta bene. Portami il piano preciso della Crociera. Cosi faccio entro pochi giorni. Ricordo al Duce che nel giugno 1933 sarà inaugurato a Chicago il monumento a Cristoforo Colombo. Aggiungo che Chicago non è mai stata una meta diretta delle grandi trasvolate e che raggiungerla in codesta occasione avrebbe sensibilmente toccato il cuore degli americani. Io poi ricordo le accoglienze cordiali ricevute nel 1929, le dimostrazioni di simpatia, i grandi banchetti popolari a cui avevano preso parte migliaia di italiani. L'imponenza della grande città industriale è scolpita nella mia memoria. Se una squadra aerea italiana la raggiungerà durante il periodo estivo della Esposizione Internazionale, susciterà il più grande entusiasmo. Vorrei rivedere Chicago fiorente e calda sulle rive del suo grande lago dalle velature giallognole... Conto di portare con me venti idrovolanti: ma potrei arrivare sino a ventiquattro. Offro al Duce la dimostrazione della nostra preparazione. Nulla è stato dimenticato: abbiamo previsto e predisposto con scrupolo i particolari più minuziosi.

Il Duce approva il mio piano, senza la minima obbiezione e pochi giorni dopo dà per la prima volta l'annuncio della Crociera Roma-Chicago-New York - Roma nel Calendario del Regime: data fine maggio - prima quindicina di giugno.

Ormai non vi sono più dubbi; dopo l'annuncio del Duce, la Crociera non è una ipotesi: è un fatto che si incomincia ad attuare. Con l'anno nuovo intensifico le visite ad Orbetello: qui lo spirito è altissimo. Già nella notte tra il sei e il sette gennaio, trovandomi io nella mia piccola torre isolata di Punta Ala sul Mar Tirreno, dove son solito passare ogni tanto qualche ora di raccoglimento e di riposo, gli atlantici mi avevano fatto una affettuosa sorpresa. Era l'anniversario della notte di Bolama, quando i nostri quattordici apparecchi avevano spiccato il volo, due anni prima, dalla costa d'Africa alla costa del Brasile. Per la ricorrenza avevo voluto trascorrere su quel lembo isolato di Maremma tra gli eccitanti ricordi della grande impresa e le ombre familiari dei giovani eroi che avevano lasciato la vita, la piccola festa intima. Ma scesa la notte sulla grande distesa delle acque prospicienti alla Torre e sulle macchie selvagge sopra il dorso delle brevi colline, ecco che un canto alpino a me ben noto - quello della guerra, quello dell'oceano - sale alle strette feritoie della Torre, invade la stanza minuscola a volte basse, riempie tutta la solitudine notturna. Sono gli aviatori di Orbetello che hanno voluto giungere sino al loro capo di ieri e di domani, per porgergli gli auguri e per ricordare con lui il passato. Si sono arrampicati silenziosamente su per il sentiero scosceso del litorale, hanno scalato la breve penisola, ed eccoli tutti intorno alla Torre col loro canto pieno di nostalgia e di forza. Si spalanca la porta, e i cari camerati sono tutti intorno a me con Cagna e Longo. La notte passa festosa nella minuscola camera della Torre che stenta a raccogliere tanti ospiti. Quasi uno sull'altro sulle rustiche sedie, gli sgabelli e i tavoli maremmani., non si contano le ore. L'affiatamento tra il personale della Scuola di Orbetello è perfetto. Fra il generale Pellegrini e il colonnello Longo è stata fatta mirabile opera di coesione nell'ambiente vivace e appassionato degli aquilotti. La nobiltà dell'impresa si è imposta a tutti e tutti si sono resi conto dell'immane difficoltà che presenta. Gli equipaggi hanno un addestramento superiore persino a quello della Crociera precedente. Tra le novità più interessanti della Scuola è questa: alcuni ufficiali e specializzati assistono alla costruzione e al montaggio degli apparecchi a mano a mano che vengono fatti dalla S. I. A. I. a Sesto Calende e presso l'Isotta Fraschini, dove vengono preparati i motori (l'Asso 750 è stato sostituito al F. I. A. T., dopo lunghe prove in volo e al banco). Cosi ogni atlantico partecipa direttamente alla preparazione del suo strumento di volo: controlla e condivide la responsabilità dei tecnici che lo costruiscono e si rende padrone dell'ingegnosa meccanica da cui risultano composti l'idrovolante e il motore. Anche questa è una scuola, oltre ad essere una impareggiabile garanzia che neppure un bullone si troverà domani fuori posto. Assistono e guidano gli atlantici nella preparazione tecnica due uomini straordinari, entrambi ufficiali benemeriti del Genio Aeronautico, modesti quanto valorosi: il colonnello Biondi e il maggiore Pezzani, che sono veramente instancabili. L'allenamento al volo procede di pari passo. Io non posso purtroppo, per gli impegni di ufficio, partecipare sempre alle prove di volo in massa, che vengono compiute nelle più svariate condizioni di luce e di temperatura, vuoi di giorno, vuoi di notte, in mezzo alla nebbia o sotto la pioggia scrosciante o addirittura alla cieca con le cortine che tolgono ogni visibilità esteriore al pilota e gli lasciano soltanto l'uso degli strumenti di bordo. Non c'è atlantico che non abbia infinite volte percorso in tutte le direzioni il cielo tirrenico, incidendolo col suo volo a tutte le altezze. Il possesso degli strumenti di controllo che servono al pilota per stabilire la direzione, la deriva, l'inclinazione, la temperatura, la velocità, nonché degli apparecchi radiotelegrafici, radiotelefonici e radiogoniometrici, non poteva essere più perfetto. Il volo sull'Atlantico è stato previsto in tutte le più strane e svariate circostanze: gli equipaggi si sono preparati a effettuarlo con vera perizia scientifica: qualsiasi criterio empirico dei tempi passati è stato abbandonato.

Durante l'inverno tutta la squadra di Orbetello, nella sua classica formazione di marcia, è partita per un lungo volo di allenamento sulle isole del Dodecaneso, facendo centro a Lero. Le autorità greche che non comprendevano il motivo dell'improvviso concentramento di tanti grossi velivoli sui cieli del mediterraneo orientale furono avvertite dello scopo reale del raid: ma la stampa greca non mancò di sollevare meraviglie e proteste. Durante il ritorno si scatenò sul mare un temporale violento, poi l'intera squadra s'ingolfò nella nebbia fitta da cui non uscì che sopra il cielo di Taranto. Il secondo esperimento di volo in massa ebbe per meta il Mediterraneo occidentale tra la Sardegna e le Baleari e si svolse con uguale perfezione. Il terzo si spinse fino a Tripoli. L'ultimo volo con la squadra al completo perlustrò tutto il Tirreno tra foschia e nebbia persistente: ad esso partecipai anch'io.

Con la fine di gennaio ebbero termine gli allenamenti collettivi: prima di tutto perché l'addestramento degli equipaggi si poteva ritenere perfetto e in secondo luogo perché, a lungo andare, il materiale di volo adibito a questo scopo cominciava a diventar vecchio e non si poteva esagerare nell'impiegarlo: i robusti apparecchi facevano servizio da quasi due anni ed erano stati ben collaudati!

Nel mese di febbraio arrivò a Santo Stefano l'Alice. Che cosa è l'Alice? E un yacht bianco, snello e robusto che fu già a Bolama nella Crociera precedente. Apparteneva in origine al Principe di Monaco che se ne serviva per le crociere del Mediterraneo: più tardi aveva fatto servizio ausiliario per la linea aerea tra Roma e l'Egitto, gestita dalla S. A. N. A., per lo scalo di Tobruk. Nella scorsa Crociera l'Alice era stata noleggiata dal Ministero: ma è parso conveniente acquistarla: infatti la Società proprietaria ce l'ha ceduta in cambio di un aeroplano aggiungendo anche trecentomila lire. Come sono deprezzate le navi! L'Alice stazza mille tonnellate e può benissimo traversare l'Atlantico. Infatti il Ministero dell'Aria la destina ai rifornimenti e ai servizi della costa nord americana: essa attenderà il nostro arrivo a Cartwright dove funzionerà anche da albergo natante per gli equipaggi della trasvolata, i quali difficilmente potrebbero trovare alloggi nella piccola stazione del Labrador.

A comandare l'Alice è stato destinato il fratello di Longo, valoroso capitano marittimo, affezionato a noi per vincoli familiari e per simpatia istintiva: egli è anche ufficiale di complemento dell'Aeronautica. Il capitano Longo ha formato il suo equipaggio imbarcando uomini nostri e dando la preferenza ai marinai di Porto Santo Stefano che si trovano da anni a quotidiano contatto con gli aviatori di Orbetello. Anche sull'Alice dunque si respira un'aria di famiglia: gli aviatori, all'indomani della prima rude fatica atlantica, avranno la sensazione di trovarsi in casa propria. A Porto Santo Stefano l'Alice ha fatto alcune esercitazioni radiogoniometriche: si è spostata nell'Arcipelago toscano, corrispondendo con gli apparecchi: ha servito tra l'altro a saggiare quanto i « terrestri » siano diventati « marini »: la prova è stata presto fatta ed ha consistito nella resistenza al mal di mare! Tutti gli allievi della Scuola di Orbetello s'imbarcarono a turno: nel febbraio il Tirreno di solito è di pessimo umore e l'Alice ha navigato col mare di traverso: tanto peggio per chi non c'è abituato...

Finalmente l'Alice parte il 20 marzo. Insieme con tutto il materiale destinato alle basi americane della Crociera, s'imbarca il decano dei giornalisti aviatori, Adone Nosari. Quantunque pochi capelli adornino la sua testa da antico romano, e questi per giunta siano grigi, Adone mantiene il temperamento romantico della prima giovinezza. Sotto le spoglie del brillante chroiniqueur, si nasconde un animo di cacciatore di leoni. Il viaggio sull'Alice si presenta veramente comodo e signorile e tutti augurano propizio il mare al veterano dei servizi dell'aria. Ciò non toglie che Adone salga la scaletta di bordo col passo di chi affronta per la prima volta le colonne d'Ercole. Penso che nel cuore di ogni italiano dormicchia un piccolo Cristoforo Colombo.

Quest'anno la pentarchia giornalistica che ha fatto con me tutte le Crociere - Nosari, Massai, Quilici, Quadrone e Intaglietta - ha subito qualche spostamento: mancano gli ultimi due: Quadrone si è buscato le febbri malariche andando ad intervistare gli ultimi mercanti di schiavi dell'Africa Equatoriale, e Intaglietta è stato da poco promosso direttore di un grande giornale italiano di Buenos Ayres. Sono sostituiti da Paolo Monelli e da Mario Bassi. Si aggiunge, per il «Popolo d'Italia », il vecchio amico delle squadre di azione, Luigi Freddi, un fedele valoroso di tutti i cimenti aerei. Ma all'infuori di Adone, tutti s'imbarcheranno sui grandi transatlantici. Peccato! Adone non avrà testimoni nei suoi prodigi di intrepidezza contro l'Oceano!

Ho detto quali criteri hanno prevalso quest'anno nel reclutamento degli equipaggi atlantici: dell'antica squadra rimane un buon gruppo: ma la maggioranza è composta di elementi nuovi, scelti fra i giovanissimi, e in prevalenza tra i terrestri. Il numero maggiore degli apparecchi ha permesso la suddivisione della squadra in due stormi di dodici apparecchi ciascuno. Ogni stormo è diviso in quattro squadriglie. Per distinguere le formazioni sono stati scelti i colori nero, rosso, bianco e verde: ciascun colore è suddiviso in stelle e dischi. Inoltre ogni apparecchio ha il suo nominativo, desunto dal nome del primo pilota.

L'ordine di partenza sarà dunque per tutte le tappe il seguente:
1a Squadriglia stelle nere
2a Squadriglia dischi neri
3a Squadriglia stelle rosse
4a Squadriglia dischi rossi
5a Squadriglia stelle bianche
6a Squadriglia dischi bianchi
7a Squadriglia stelle verdi
8a Squadriglia dischi verdi.

Ecco i distintivi di ogni apparecchio, il nominativo radio telegrafico e i nomi dei componenti gli equipaggi:

PRIMO STORMO

I SQUADRIGLIA - NERA STELLATA
APPARECCHIO “I-BALB”
Generale BALBO
Tenente colonnello CAGNA
Tenente motorista CAPANNINI
Sergente radiotelegrafista BERTI
Maggiore del Genio Aeronautico PEZZANI
APPARECCHIO “I-QUES”
Capitano QUESTA
Tenente MARRAMA
Primo aviere motorista ANTONANTE
Primo aviere radiotelegrafista ZOPPI
APPARECCHIO “I-BISE”
Capitano BISEO
Capitano CUPINI
Sergente motorista PARIZZI
Sergente maggiore radioteleg. GIULINI

II SQUADRIGLIA - NERA CERCHIATA
APPARECCHIO “I-PELL”
Generale PELLEGRINI
Capitano BONINO
Sergente motorista ALBERI
Maresciallo radiotelegrafista PIFFERI
APPARECCHIO “I-MIGL”
Capitano MIGLIA
Tenente FISICARO
Sergente maggiore motorista LETTINI
Aviere sc. Radiotelegrafista CUBEDDU
APPARECCHIO “I-BORG”
Capitano BORGHETTI
Capitano FRAILI
Primo aviere motorista LEONE
Primo aviere radiotelegrafista BALESTRI

III SQUADRIGLIA - ROSSA STELLATA
APPARECCHIO “I-NANN”
Capitano NANNINI
Capitano ACCARDO
Primo aviere motorista FILIPPONI
Sergente maggiore radioteleg. VASCHETTO
APPARECCHIO “I-LIPP”
Capitano LIPPI
Capitano CECCOTTI
Primo aviere motorista MASTRONARDO
Primo aviere radiotelegrafista BISOL
APPARECCHIO “I-ROVI”
Capitano ROVIS
Tenente AINI
Sergente motorista CIPOLLINI
Primo aviere radiotelegrafista MARTINELLI

IV SQUADRIGLIA - ROSSA CERCHIATA
APPARECCHIO “I-DINI”
Capitano BALDINI
Tenente NOVELLI
Sergente motorista QUINTAVALLE
Sergente radiotelegrafista JORIA
APPARECCHIO “I-LEON“
Capitano LEONE
Tenente REVETRIA
Primo aviere motorista FABBRINI
Sergente radiotelegrafista D’AMORA
APPARECCHIO “I-TEUC”
Capitano TEUCCI
Capitano MARINO
Primo aviere motorista ROMEO
Primo aviere radiotelegrafista GASPERINI

SECONDO STORMO

V SQUADRIGLIA – BIANCA STELLATA
APPARECCHIO “I-GIOR”
Capitano GIORDANO
Capitano FIORI
Primo aviere motorista NEGRO
Sergente maggiore radioteleg. VIOTTI
APPARECCHIO “I-NAPO”
Capitano NAPOLI
Tenente SARLO
Sergente motorista DE DONNO
Sergente radiotelegrafista VIRGILIO
APPARECCHIO “I-VERC”
Capitano VERCELLONI
Capitano FRABETTI
Primo aviere motorista MANSANI
Primo aviere radiotelegrafista MUROLO

VI SQUADRIGLIA - BIANCA CERCHIATA
APPARECCHIO “I-RECA”
Capitano RECAGNO
Capitano CADRINGHERI
Primo aviere motorista MUZI
Primo aviere radiotelegrafista CHIARAMONTE
APPARECCHIO “I –GALL”
Capitano GALLO
Capitano CLINGHERI
Sergente motorista BARTOLINI
Primo aviere radiotelegrafista PELOSI
APPARECCHIO “I-ABBR”
Capitano ABBRIATA
Tenente NICOLETTI
Primo aviere motorista D’AMURI
Sergente radiotelegrafista ARCANGELI

VII SQUADRIGLIA - VERDE STELLATA
APPARECCHIO “I-BIAN”
Capitano BIANI
Maresciallo MORETTI
Primo aviere motorista MANARA
Sergente radiotelegrafista SURIANI
APPARECCHIO “I-RANI”
Capitano RANIERI
Tenente SQUAGLIA
Sergente maggiore motorista CREMASCHI
Sergente radiotelegrafista BOVERI
APPARECCHIO “I-ARAM”
Capitano ARAMU
Tenente ORSOLAN
Sergente motorista BONACCINI
Primo aviere radiotelegrafista FRUSCIANTE

VIII SQUADRIGLIA - VERDE CERCHIATA
APPARECCHIO “I-LONG”
Tenente Colonnello LONGO
Capitano DE VITTEMBESCHI
Sergente maggiore motorista OMETTO
Sorgente maggiore radioteleg. BERNAZZANI
APPARECCHIO “I-CANN”
Capitano CANNISTRACCI
Capitano ROSSI
Sergente maggiore motorista TIRABOSCHI
Sergente radiotelegrafista SIMONETTI
APPARECCHIO “I-CALO”
Capitano CALO’
Tenente PALMIOTTI
Primo aviere motorista PINELLI
Sergente radiotelegrafista MASCIOLI
APPARECCHIO DI RISERVA “I-MARI” (25°)
Capitano TRIMBOLI
Tenente BELTRAMO
Primo aviere motorista DELLE PIANE
Primo aviere radiotelegrafista CENTURI

Questa volta i piloti son troppi, perché io possa presentarli uno per uno. Per fortuna molti di loro sono vecchie conoscenze. Fra questi ultimi, tre si sono ammogliati. Il capo scuola è stato Bonino. Fidanzato da dieci anni, volle essere sicuro di non essere escluso dalla nuova impresa prima di stringere il nodo coniugale. Come negarlo? Bonino è un uomo calmo. Il matrimonio non lo ha cambiato. Partirà con la sua flemma emiliana, nella quale è qualche cosa della fredda audacia anglo-sassone. Anche Calò mi ha strappato a suo tempo la promessa di non lasciarlo a terra se si fosse ammogliato. Siamo andati tutti a Bari per la cerimonia nuziale. La famiglia atlantica applica con molta semplicità ma con assoluta coerenza il vecchio motto « Uno per tutti, tutti per uno ». Fu una festa gentile. Bisogna dire che non sempre le donne sono nemiche degli ardimenti aerei: il vecchio camerata Calò rimane infatti in linea con bellissima e fiera prestanza. Il terzo atlantico primo in ordine di tempo che si è lasciato incatenare dal dolce nodo d'amore, è Miglia, il gigante fanciullo, erculeo nel fisico, e così delicato nel sentimento. Ha un temperamento veramente eroico, che affiora da una umana e profonda bontà. Si è sposato a Conegliano veneto. Gli atlantici gli fecero onore, col gagliardetto azzurro della Crociera. Il corteo nuziale si svolse nella pittoresca cittadina piena di colore. Impossibile dimenticare quella festa caratteristica, nella quale riapparve il volto della vecchia Italia, in tutti i colori suggestivi della provincia veneta, vera parentesi di festa e di riposo nella nostra vita agitata di scalatori di nuvole.

Ma i celibi sono ancora la grande maggioranza. Il dominio dei cieli induce ad un certo selvaggio amore per la libertà: si desidera esser sciolti da ogni vincolo terreno. I giovanissimi abbondano. Il capitano Ceccotti sembra uscito ieri dall'Accademia. Pare che sia ancora molto lontano dal matrimonio. Invece di una moglie, gli abbiamo dato la Croce di Cavaliere, alla quale, forse, secondo i maliziosi camerati, si indirizzavano le sue più ardenti aspirazioni. Porta la Croce sul petto e tutti lo chiamano ormai « il Cavaliere ».

Vittembeschi ci ricorda molto da vicino l'indimenticabile Cecconi. Anch'egli è uscito primo nei corsi dell'Accademia. Anch'egli spira salute dal volto rubicondo. È quello che si dice « un bravo ragazzo » nel più ampio significato della parola.

Vi è il piccolo Clingheri, magrolino, dagli occhi vispi. Lo tratto un po' da persona di famiglia e lo tengo d'occhio con speciale severità. Suo fratello è un vecchio amico che sta al mio fianco da dieci anni.

Il capitano Giordano è specialista nella diffusione aerea dei gas fumogeni. Durante la Giornata dell'Ala il suo apparecchio doveva apparire incendiato da un attacco nemico. Giordano tenne sospeso il cuore degli innumerevoli spettatori, tanto efficacemente simulò l'incendio a bordo, precipitando in una voragine di fumo. Quando giunse a terra e scese dall'apparecchio, comparve, agli occhi dei camerati circostanti, nero come uno spazzacamino.

Il capitano Biani è un asso dell'aviazione libica, della quale ha brillantemente descritto, nel suo libro «Ali sul deserto », gli straordinari eroismi. Il sole del deserto lo ha indurito alla fatica e abituato allo sprezzo della morte. E un giovane ardente, che mostra sul petto i nastrini azzurri di tre o quattro medaglie al valore.

Altro tipo interessante è il capitano Nannini. Giunge alla squadra atlantica dopo avere per anni diretto la scuola di Volo a Vela. Nell'arte ingegnosa ha educato migliaia di giovani, che ripetono con affetto il suo nome. Oggi ha cambiato il minuscolo giocattolo del velivolo senza motore con il gigantesco «S. 55 », i cui motori hanno un rombo che lacera lo spazio. Non pare, per questo, che egli si trovi imbarazzato. E pilota nato.

Del resto tutti sono modellati sopra un certo stampo di disinvolta semplicità. L'aria costituisce l'elemento naturale, vorrei dire la dimora abituale di questi superbi rappresentanti della nuova generazione. Si disse, sugli inizi dell'aviazione, che l'uomo avrebbe dovuto vincere o addirittura capovolgere le leggi della natura per abituarsi al distacco dalla terra e al viaggio tra le nuvole. Se quei curiosi fisiologi, che profetizzarono il fallimento dell'aeronautica come un fenomeno contro natura, sono ancora in vita, vorrei che interrogassero questi ragazzi. Essi non conoscono simili prevenzioni se non per deriderle. Sono veramente esemplari superbi del secolo nuovo, modellato dalla civiltà fascista. Credo che si sentano molto più padroni di se stessi in cielo, che in terra. Bisognerebbe domandarlo al capitano Questa, dal viso aguzzo di lince, cosi buon navigatore da meritare il nome di Pigafetta: al capitano Biseo, specie di giovane centauro dell' aria, ai capitani Leone, Teucci, Napoli, Vercelloni, Gallo, Cannistracci, tutti veterani dell'Atlantico: e poi sentire il parere degli ultimi arrivati a Orbetello, che hanno una sola ambizione: essere degni dei loro predecessori.

Chi non ne è rimasto convinto ammirando l'esercito azzurro, il 28 marzo 1933? In occasione del I Decennale dell'Arma Aerea, 4000 tra ufficiali e sottufficiali sfilarono per la via dell'Impero alla presenza del Duce: festa della giovinezza alata, dimostrazione indimenticabile per il popolo dell'Urbe, che pure, nella sua storia millenaria, ha visto tanti trionfi. Questo è il miracolo del Fascismo. Sarebbe stata follia pensare, dieci anni fa, che l'Italia avrebbe radunato una forza aerea così imponente. Chi li ha visti marciare in centurie, col loro passo svelto e gli occhi arditi, ha gridato al miracolo. Sia che le giovani aquile si lancino negli spazi per compiere un'alta missione pacifica di civiltà, sia che il destino le richiami in imprese di guerra a difendere il cielo della Patria, è certo che il prestigio, la fortuna, gli interessi d'Italia troveranno nelle falangi azzurre un baluardo infrangibile. Nel grande rettangolo del Teatro di Domiziano, sul Palatino, il Duce li elettrizzò con la sua maschia parola: un sacro testamento d'onore i morti trasmettono ai vivi, i presenti ai venturi.

Per gli atlantici il Gran Rapporto del Duce nel Decennale della Fondazione dell'Arma, fu il viatico per l'imminente audace impresa. Ognuno partì con le parole del Capo incise nel cuore.

Per l'occasione furono distribuite le ricompense al valore e vennero ufficialmente annunziate alcune promozioni a scelta assoluta. Tra gli altri salì al grado di tenente colonnello il mio giovane aiutante Stefano Cagna. Tre anni fa egli era ancora capitano. Può dire di avere bruciate le tappe. Ma la sua rapida carriera è ben degna della serie ininterrotta di eccezionali servigi che egli ha resi nel triennio all'Arma Azzurra. Più gli anni passano, con le molteplici vicende di un periodo storico di eccezione, più mi sento legato da stima e da affetto verso questo giovane ufficiale, il cui nome si intreccia col mio nelle più luminose esperienze della mia vita.

Passo la Pasqua alla Torre di Punta Ala, dove è giunta mia madre. Il sole di primavera inonda la piccola penisola affacciata sull'arcipelago Toscano: la foresta, rigogliosa di linfe giovani, sente l'alito rinnovatore: sulla riva del sonante mare e sotto le chiome degli abeti i bimbi cantano i loro inni di festa. La dolce mamma sorride. Essa ha fede nella mia stella: io mi esalto e mi illumino nella sua fede.

Ma urge ormai affrettare i preparativi della partenza. Poche settimane ci dividono dall'inizio della Crociera.

Quest'anno la collaborazione che chiediamo alla Regia Marina è limitata a due Sommergibili e a due Drifters. Essi sono già in viaggio per la costa americana. Il primo sommergibile porta il nome glorioso della prima Medaglia d'Oro della Marina sarda, Millelire, che difese eroicamente la Maddalena contro gli assalti di Napoleone.

Il secondo è il Balilla. Il gruppo è comandato dal Comandante Della Campana, un valoroso che ci accompagnò nell'altra Crociera con la divisione esploratori.

Il servizio che maggiormente ci preme sulla rotta oceanica è quello meteorologico. Ma esso può essere compiuto più agevolmente dai piccoli battelli che passano di solito la stagione estiva di pesca nell'Atlantico del nord. Sono veri gusci di noce e chi li vede non si rende conto della resistenza che oppongono alle furibonde bufere di quei mari. Invece proprio quei minuscoli battelli sono indicati per resistere sull'Oceano durante settimane e settimane e con qualsiasi tempo. Affideremo dunque a loro i nostri radiotelegrafisti e ufficiali incaricati di darci le indispensabili segnalazioni meteorologiche. Non sarebbe difficile trovarne anche in Italia. A Trieste, a Viareggio, a Civitavecchia ve ne sono molti che tengono alto l'onore e intatta la tradizione della marina peschereccia italiana, usa a spingersi alle più estreme latitudini. Ma il viaggio sarebbe troppo lungo e costoso. Preferiamo inviare il maggiore Marini in Inghilterra, per noleggiare le imbarcazioni; lassù, vicino alle nostre mete oceaniche. Egli infatti ne trova un numero sufficiente e senz'altro le noleggia per noi. La cosa non manca di far piacere anche ai nostri amici inglesi.

In aprile incominciano ad arrivare ad Orbetello i primi apparecchi atlantici, trasportati da Sesto Calende in volo dagli stessi ufficiali che dovranno condurli di là dall'Atlantico. La S. I. A. I. ne invia un piccolo gruppo ogni giorno. Entro la seconda quindicina di maggio debbono trovarsi tutti a Orbetello, sul lago da cui spiccheranno il volo. Dànno una superba impressione di forza e di eleganza.

Non mi indugierò a descrivere l'« S 55 », la cui fama si è ormai consolidata nel mondo attraverso imprese leggendarie. II bell’apparecchio è stato però ancora rinforzato e affinato per la nuova Crociera: è tutto muscoli, potenza e velocità: « come un atleta olimpionico » scrive il suo geniale costruttore Alessandro Marchetti.

E’ strana la sorte dell'« S 55 ». Progettato da Marchetti nel 1922, nel concorso bandito dal Commissariato dell'Aeronautica per un « idrovolante d'alto mare lancia siluri », fu recisamente bocciato dalla Commissione di esame con un giudizio sommario: « non si giudica interessante e non merita di riprodurlo oltre il primo esemplare ». Prevenzioni dovute a una antiquata mentalità, che si terrorizzava davanti a una novità audace di costruzione. Allorché, alla fine del 1926, io fui assunto come Sottosegretario al Ministero dell'Aria, volli rivedere quel giudizio e rimisi l’ « S 55 » in linea. Da quell'epoca l'apparecchio ha dato all'Italia fascista 15 trasvolate atlantiche, tra le quali primeggia quella dall'Italia al Brasile. Il modello X di cui ci serviamo nella presente Crociera è fornito di motori Isotta Fraschini di 1500 cavalli, può raggiungere una velocità di 280 chilometri all'ora ed è collaudato per una velocità media di 225: con 1000 chilogrammi di carico utile può coprire una distanza di oltre 4000 chilometri con un consumo medio di un chilogrammo a chilometro.

Le innovazioni più importanti si riferiscono alle eliche, ai radiatori, ai serbatoi, alla soprastruttura degli scafi, al profilo del piano centrale, alle carenature tra le travi di coda e gli impennaggi. Per le eliche sono state esperimentate in questi due anni ottantotto combinazioni. Essendosi data la preferenza alle eliche metalliche, sono stati provati i tipi delle case straniere, Heddena-heimer, Junker, Ratier. Per le sole prove relative alle eliche, furono compiuti 250 voli sperimentali. La vittoria è rimasta all'elica della S. I. A. I. a tre pale, che, a parità di velocità massima e di consumo minimo, fornisce una maggiore trazione al decollaggio.

Ben diciotto tipi di radiatori sono stati provati: quello definitivo ha una forma anulare, a tubetti rettangolari, ed è stato montato davanti al motore anteriore. Anch'esso è italiano e fabbricato dalla S. I. A. I. E’ noto come gli inconvenienti della precedente Crociera si dovettero quasi tutti ai radiatori. Il tipo prescelto per la nuova impresa atlantica ha gli antichi requisiti per il raffreddamento, ma è meno pesante e più resistente al tormento delle vibrazioni.

Anche i serbatoi a sezione ottagonale che usammo nel raid Italia-Brasile non potevano essere adottati per la Crociera del Decennale che richiede un aumento di capacità e una maggiore garanzia di tenuta: sono stati quindi sostituiti con serbatoi ovali e cilindrici di capacità e robustezza superiori: il banco vibratorio li ha esperimentati per la durata di cinquanta ore: le prove statiche e dinamiche sono state fatte con pressione superiore ai trenta metri di acqua.

Le altre modificazioni hanno avuto per scopo un maggiore affinamento aerodinamico, che non ha confronti ormai con l'apparecchio precedente.

Gli strumenti di precisione presentano uno speciale interesse. I principali sono: la bussola, l'indicatore di velocità, l'indicatore di salita e discesa, e l'indicatore di virata, tutti riuniti in unico quadretto luminoso, secondo il sistema « Nistri-Biseo ». L'ingrandimento dei movimenti degli apparecchi sensibili è ottenuto otticamente. Si aboliscono cosi le masse di inerzia.

Vi è inoltre un orizzonte artificiale Sperry a sistema giroscopico per l'indicazione dell'assetto longitudinale e trasversale dell'apparecchio e un indicatore di direzione Sperry per il controllo della rotta.

Ho già accennato alla sostituzione del motore Fiat A. 24 R. con il motore Isotta Fraschini Asso 750. Le prove eseguite per la scelta definitiva del motore hanno richiesto complessivamente oltre 1000 ore di volo.

L'Asso 750 è raffreddato ad acqua, ha diciotto cilindri su tre file convergenti con angoli di quaranta gradi.

Il basamento è in « electron », i cilindri sono in acciaio al carbonio con involucro delle camere d'acqua e di raffreddamento riportato e saldato. Gli stantuffi sono in lega speciale di alluminio con 4 fasce elastiche di tenuta. L'albero motore è in acciaio al nichel-cromo, con otto supporti e sei manovelle: è forato in modo da permettere la completa lubrificazione dei cuscinetti delle bielle: queste sono di acciaio speciale di altissima resistenza. L'accensione è data a mezzo di due magneti ad alta tensione situati nella parte posteriore del motore. Ciascun magnete fornisce la scintilla a 18 cilindri; ogni cilindro è munito di due candele di accensione, ognuna delle quali funziona con un magnete differente. Il raffreddamento ad acqua è ottenuto per circolazione forzata, a mezzo di pompe centrifughe. La lubrificazione avviene con pompe ad ingranaggi, una di mandata e due di ricupero. Il motore ha sei carburatori. Il tipo di carburatore adottato rende possibile una carburazione magra, con evidente economia nei consumi, ma consente un rapido ingrassamento della miscela in modo da ottenere una ripresa pronta e perfetta.

Le eliche girano con passo variabile a terra, e in presa diretta non hanno bisogno di riduttore.

Il motore non ha riduttore.

Alesaggio mm. 140,—
Corsa 170,-
Numero dei cilindri a disposizione 18 a V
Cilindrata totale 1 .47,07
Rapporto di compressione 5,7
Regime normale giri-albero motore 1750
Potenza effettiva all'asse elica al regime normale HP. 880
Regime massimo di giri albero motore 1900
Potenza effettiva al regime massimo HP. 940
Consumo carburante alla potenza normale gr. HP/h. 215
Consumo olio alla potenza normale gr. h. 10
Peso del motore a secco, senza mozzo elica Kg. 663
Peso per HP gr. 750
Acqua contenuta nel motore l. 42

Ho riportato questi dati tecnici affinché anche il profano abbia una idea almeno sommaria della perfezione a cui è arrivata la meccanica aerea in Italia. In un decennio essa ha saputo portarsi molto avanti.

Questo legittimo senso di orgoglio, che accompagna e incoraggia l'audacia degli uomini, esprimevo alla Camera nei primi giorni di maggio, esponendo per la settima volta la situazione del bilancio aeronautico. Pregavo i camerati del Parlamento a indulgere alla necessaria laconicità del mio discorso, visto che era imminente il momento in cui i fatti avrebbero preso il sopravvento sulle parole e mi ripromettevo di dare tra non molto all'Italia di Mussolini la gioia di un nuovo trionfo. La Camera, nella ovazione finale, espresse al Duce la sua commossa gratitudine per l'opera compiuta nella restaurazione dell'Ala tricolore e nell'applauso comprese il più fraterno augurio per me e per i cento uomini dell'Armata azzurra destinati a varcare l'Oceano.

Pochi giorni dopo, il Duce, durante uno dei miei ordinari rapporti bisettimanali, mise il discorso sulla Crociera. Egli aveva ricevuto sulla trasvolata atlantica notizie preoccupanti, che provenivano direttamente dal Re e da De Bono. Particolarmente avverse sembravano le previsioni meteorologiche. La stagione era molto arretrata e il pericolo della nebbia appariva allarmante. Mostrai allora al Capo i documenti della nostra minuziosa preparazione: le norme di funzionamento dei servizi, delle comunicazioni e della meteorologia, proprio in quei giorni stampate a cura della Scuola di Navigazione Aerea di Alto Mare, il Portolano aereo, le tavole di navigazione aerea, gli ordini di marcia, la descrizione delle basi, i rifornimenti e i pezzi di ricambio predisposti lungo tutto l'itinerario. Il Duce si dimostrò persuaso della efficienza della nostra organizzazione. Del resto io gli promisi, in conformità al programma esposto alla Camera, di agire con la massima prudenza. Avevo coscienza delle responsabilità che mi incombevano: sapevo quanto fosse preziosa per la Patria la vita dei giovani a me affidati e come alla Crociera fosse legato il prestigio della bandiera nazionale. Ripetei al Duce che noi saremmo partiti da Orbetello con lo spirito dei vecchi navigatori, i quali si recavano a perlustrare i lontani continenti, decisi a non fallire la prova, ma esperti delle difficoltà, e persuasi che non bisogna forzare il destino. Soltanto se tutte le condizioni previste si fossero realizzate, noi avremmo alzato il volo dall'Islanda al Labrador. Ma qualora le avversità atmosferiche, o altre particolari circostanze, avessero aumentato la percentuale del rischio oltre i limiti del ragionevole, io non avrei esitato a ordinare alla squadra il ritorno in Patria. L'occasione propizia per ritentare la prova non avrebbe tardato a presentarsi. Il Duce si compiacque di queste affermazioni. Egli apprezza il coraggio morale non meno di quello fisico. Io so che il soldato deve possedere l'uno e l'altro.

Dopo la visita al Duce, chiesi una udienza particolare a S. M. il Re. Come sempre, alla vigilia delle grandi imprese aeree, mi premeva di esporre a Sua Maestà i particolari dell'imminente Crociera. Il Sovrano mi accolse con la squisita affabilità che gli è propria. Mi fece sedere vicino a lui in un divano, ed esaminò con la più viva attenzione le pubblicazioni riservate in cui era esposta l'organizzazione preventiva della doppia trasvolata atlantica. A voce io gli illustravo i particolari dell'impresa. Il Re mi espresse la sua alta ammirazione per i due anni di faticoso e intenso lavoro, di cui quei grafici, quelle cifre, quelle tavole, erano il sintetico riassunto. Poi ricordò con me i suoi antichi viaggi nelle zone polari per la caccia alle renne. Da un momento all'altro possono sorgere nebbie fittissime che tolgono ogni visibilità. Egli ricordava la strana impressione di quelle grigie cortine, che appena sbarcato dalla nave lo avviluppavano cosi densamente, da non permettergli neppure di scorgere i personaggi del seguito. Aggiungeva che spesso per ritornare alla nave era necessario muoversi con la guida delle bussole e del suono delle sirene. Risposi al Sovrano che gli aviatori atlantici avevano compiuto lunghi voli di allenamento fra le nebbie e che queste non li spaventavano, purché non durassero troppo a lungo. Le istruzioni fissate per le singole squadriglie già stabilivano, in caso di nebbia, un decollo a intervalli di tre minuti da un apparecchio all'altro: speciali manovre di distanziamento erano previste: le squadriglie sarebbero tenute in collegamento, per mezzo dei servizi radiotelegrafici e dei razzi segnalatori, con i comandanti delle baleniere. Aggiunsi che, in ogni modo, i nostri servizi meteorologici sarebbero stati in grado di fare previsioni abbastanza positive per le dieci o dodici ore necessarie al volo tra l'Islanda e il Labrador. Anche il Re, mi espresse, insieme con il più vivo compiacimento, l'augurio più commovente e mi pregò di comunicare il suo saluto agli equipaggi della squadra atlantica.

Ormai anche il maggio volgeva alla fine. Avrei voluto passare le ultime settimane a Orbetello. Ma a Roma mi trattenevano impegni molteplici e tra l'altro un gruppo di importanti sedute del Gran Consiglio. Il 24 maggio, data sacra all'entrata in guerra, essendo stato avvertito che era ormai pronto l'I Balb, l'apparecchio che mi era destinato per la Crociera, partii col trimotore «Savoia Marchetti », in compagnia di Biseo, per Sesto Calende. Qui giungevo dopo un volo bellissimo. Rimasi a Sesto il tempo di fumare una sigaretta, e salii subito a bordo dell'apparecchio atlantico assieme al mio fido e valoroso Cagna e al Maggiore del Genio Aeronautico Pezzani, che aveva seguito punto per punto la costruzione e il montaggio degli apparecchi e sorvegliato in modo particolare la sistemazione dell'I-Balb. Nessuno conosceva il mio « S. 55 » meglio di lui. La sua collaborazione ci sarebbe stata preziosa. Desideravo poi di fare qualche esperimento di radiotelegrafia. Adibito alla radio di bordo era il sergente maggiore Berti che pochi superano per la padronanza dello strumento e la tenacia al lavoro. Come motorista il solito fedele tenente Capannini, che già mi accompagnò l'altra volta in America.

Partiamo tra l'urlo lacerante dei motori, che tanto ricordano quelli della Schneider. Tutta la conca del Lago Maggiore si riempie di un rombo trionfale. Presto si inazzurrano di lontananza le Alpi, distese a semicerchio sull'orizzonte. La vasta pianura padana è sotto di noi. Ma non abbiamo molto tempo per ammirarla. Ecco l'Appennino Ligure con i suoi monti gobbi e pelati. Li traversiamo in una grande calma di aria, in una estasi di luce: l'apparecchio non si accorge delle montagne, punta sul mare, che raggiunge in un baleno. Voliamo ad una velocità media di 227 chilometri l'ora. Da Portofino drizzo la prua sulla rotta che taglia il mare aperto, in direzione di Orbetello. Prima di ammarare, riattacco i motori in pieno e passo sull'Idroscalo, picchiando un poco, a una velocità non inferiore ai 280-290 chilometri. La prima prova del mio apparecchio non poteva essere più brillante. Scesi a terra lo guardiamo con una specie di ebbrezza, come il cavaliere saluta il destriero di buon sangue.

Ci attende una pia cerimonia. Si inaugura oggi a San Vincenzo una lapide in memoria dei due fratelli Magdalo e Piero Ambrosino, entrambi aviatori, caduti l'uno e l'altro, per la gloria dell'Arma, nel cielo tirrenico nel 1930 e nel 1931. Si raggiunge in volo S. Vincenzo, si assiste al breve rito, fervido di ricordi, e sullo stesso apparecchio atlantico, ritorno alla mia Torre solitaria assieme a Cagna e a Longo.